Al Consiglio europeo di febbraio a Bruxelles, l'ultimo che vide insieme fisicamente i capi di governo dell'Unione prima della pandemia, Mark Rutte si presentò con una mela e un libro, una biografia di Chopin. Il premier olandese, in modo netto e non senza alterigia, segnalava che per lui non c'era nulla da negoziare e che la proposta di bilancio pluriennale della Commissione era inaccettabile per l'Olanda. Quattro mesi, un secolo fa. Quel libro Rutte non è riuscito a finirlo. Ma soprattutto non se n'è vista traccia al vertice virtuale dello scorso 19 giugno, dove i leader dell'Unione hanno discusso per la prima volta il Recovery Act da 750 miliardi di euro, proposto dalla Commissione per aiutare i Paesi più colpiti dal Covid-19. «Questa volta è importante giungere presto a una conclusione, non c'è tutto questo tempo per leggere», dice il primo ministro nell'intervista a 7, la prima a una testata internazionale dallo scoppio della pandemia.
L'opposizione ai Coronabond e la «banda dei quattro»
C'è stata tanta incomprensione nei mesi scorsi tra Olanda e Italia. Mark Rutte e il suo ministro delle Finanze, Wokpe Hoekstra, sono stati in prima fila nell'opposizione ai Coronabond, che il nostro governo all'inizio indicò come strumento irrinunciabile della solidarietà europea. Quando poi anche la Germania ha fatto la Grande Magia e Angela Merkel ha infranto il tabù tedesco della comunitarizzazione del debito, Rutte ha indossato la maschera del Dottor Strarigore. È lui il leader morale della "banda dei quattro", Austria, Olanda, Svezia e Danimarca, i Paesi frugali, o avari secondo la narrazione alternativa, che chiedono limiti e condizioni precise a un aiuto, del quale pure riconoscono l'urgenza e il carattere esistenziale. Tant'è. Come dice lo scrittore Joris Luyendijk, «parlar chiaro non è necessariamente scortesia o maleducazione, la cortesia per l'olandese è una forma d'ipocrisia: ogni calvinista sa che la verità ci rende liberi».
«I rapporti tra Olanda e Italia sono eccellenti»
In collegamento video dal Torentje, il suo ufficio all'Aja, Mark Rutte vuole però iniziare il colloquio su una nota conciliante. «I rapporti tra Olanda e Italia sono eccellenti. Siamo entrambi Paesi fondatori, insieme a Belgio, Lussemburgo, Francia e Germania. Il mio rapporto personale con Giuseppe Conte è forte e amichevole. E le relazioni sono molto migliori di quanto si possa pensare se ci si basa sui media, soprattutto negli ultimi tempi. L'impatto della pandemia per l'Italia è stato enorme, sia in termini di vite umane che di danni all'economia. Lo capiamo e per questo dobbiamo essere pronti ad aiutare l'Italia, ma anche altri Paesi come la Spagna per esempio, a superare la crisi economica. Dobbiamo farlo per spirito solidale, ma anche perché io credo che un'Europa forte sia nell'interesse di tutti. E questo significa anche un'Italia forte».
A che punto è il negoziato sul Recovery Act? Quanto è lontano un compromesso?
«Quello del 19 giugno è stato un vertice esplorativo. L'atmosfera era buona. Ogni Paese ha colto l'opportunità per esporre la propria posizione. Penso che la proposta della Commissione contenga margini per proseguire la discussione. Senza dubbio ci sono differenze. La trattativa sarà dura, prenderà un po' di tempo, ma un compromesso è possibile».
Lei, insieme agli altri Paesi cosiddetti frugali, è contrario all'idea di dare più contributi a fondo perduto che prestiti. Perché?
«L'Olanda capisce e appoggia l'appello alla solidarietà. Ma responsabilità significa anche che noi dobbiamo assumerci la nostra. Dobbiamo solidarietà ai Paesi più colpiti dalla pandemia, sapendo però che anche noi siamo stati colpiti gravemente. Ciò significa che gli Stati i quali necessitano e meritano aiuto devono anche far sì che in futuro siano capaci di affrontare da soli crisi del genere in modo resiliente. E voglio aggiungere che ammiro ciò che fa Giuseppe Conte, cercando di varare un pacchetto di riforme mirate ad aumentare la produttività e la competitività dell'Italia, incluse misure impopolari. È un buon inizio e spero che prosegua. Perché è cruciale che la prossima volta l'Italia sia in grado di rispondere a una crisi da sola».
Ma perché prestiti e non contributi?
«Un sistema di prestiti è molto più logico. Anche quelli sono aiuti. E dalle analisi della Commissione, sappiamo che la sostenibilità del debito di Italia e Spagna non sarà diminuita da nuovi prestiti. Per questo la nostra posizione è che l'aiuto dev'essere fatto di prestiti e non di contributi. Ma insistiamo anche perché ci si concentri sull'aumento della competitività e della resilienza dei Paesi che li ricevono».
Il governo olandese al completo: dal 2010 è guidato dal primo ministro Mark Rutte, il leader europeo più di lungo corso dopo Angela Merkel. I ministri sono in totale 15: nove uomini e sei donne; tra questi, quattro senza portafogli (foto Afp Via Getty)
Dato che in questa fase i tassi sul mercato sono così bassi, che differenza ci sarebbe tra farsi prestare i soldi dalla Commissione o cercarli sul mercato? Dov'è la solidarietà?
«Beh, ci sarebbe una differenza considerevole tra un prestito europeo e uno basato sullo spread con i bond tedeschi. Nel lungo periodo, l'Italia sarebbe in grado di scendere a un livello più sostenibile del debito, a parte investire nella sua economia. Abbiamo già un sistema di contributi ed è il bilancio dell'Ue, ma non è normale per l'Europa avere un ammontare così alto di contributi».
Siete pronti ad accettare una combinazione di contributi e prestiti?
«Noi vogliamo che siano solo prestiti».
Ma dovrete pure fare delle concessioni.
«Questa è la sua interpretazione. E va bene. Ma non è la nostra posizione».
È a favore della proposta della Commissione di creare nuove fonti di finanziamento per un bilancio comune più grande?
«L'Olanda è già contributrice netta al bilancio e non vogliamo ritrovarci in una posizione ancora peggiore, attraverso l'introduzione di nuove risorse proprie».
Vista la portata e la simmetricità della crisi, cioè il fatto che colpisce tutti, la solidarietà finanziaria non è anche un atto di interesse nazionale? Se affondano l'Italia e la Spagna sarà l'intera eurozona, quindi anche l'Olanda, ad affondare.
«Lei ha assolutamente ragione. Ecco perché bisogna dare aiuto. Ma questo deve andare mano nella mano con un'analisi del passato. Italia e Spagna devono rispondere alla domanda: cosa possiamo fare per poter affrontare da soli la prossima crisi? Le nostre economie sono interconnesse. Il 70% del nostro export è verso l'Unione e l'Italia è tra i nostri primi 10 partner. Esportiamo verso il vostro Paese per 20 miliardi di euro l'anno e importiamo per 12 miliardi. Bisogna anche riconoscere che un ragionevole aiuto è stato già fornito: prenda i 540 miliardi approvati ad aprile o l'espansione del programma PEPP da parte della Bce, che acquistando più titoli di Stato ha evitato per ora ogni choc finanziario acuto».
Pensa che il Patto di Stabilità debba essere modificato, come suggerisce Christine Lagarde?
«Dovremmo fare qualcosa per assicurare che venga applicato in modo rigoroso. Ma non penso che abbia senso allentarne le regole. L'obiettivo principale del Patto di Stabilità e Crescita è sempre stato assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche. Siamo aperti a modifiche e miglioramenti ma giudicheremo ogni proposta avendo in mente questo».
Eppure, Mario Draghi afferma che «nei prossimi anni livelli alti di debito pubblico dovranno diventare caratteristica permanente delle nostre economie». Lo sostenne anche John M. Keynes, un liberale, durante la Grande Depressione. Anche lei è liberale, ma è contrario. Perché?
«Io riconosco che abbiamo bisogno di spendere di più. Ma dico che bisogna orientare questa spesa agli investimenti. Dobbiamo tenere i nostri occhi puntati sul futuro. Il Covid-19 è senza precedenti e il suo impatto è devastante non solo sull'Italia: per la nostra economia è prevista una contrazione del 6%. Ecco perché in tutta l'Europa i governi lanciano investimenti audaci e sostengono le imprese cercando di salvare quanti più posti di lavoro possibile. Noi in Olanda stiamo però prendendo anche misure che ci renderanno più robusti. Non parlo di risparmi, ma di rafforzare il sistema pensionistico e fiscale. Se lo facessero tutti in Europa, usciremmo dalla crisi più forti e in migliori condizioni. E devo dire che con Conte siamo d'accordo su questo. Quanto a Draghi, ci sono poche persone in Europa che rispetto più di lui. Ha fatto un lavoro fantastico. Il suo whatever it takes rimane nella memoria. Ma ogni spesa pubblica dev'essere mirata».
Lei ha parlato di tasse. Ma è compatibile con i principi dell'Unione il dumping fiscale con cui l'Olanda, ma non solo l'Olanda, attira le imprese applicando un sistema di basse imposte sulle società a danno degli altri Paesi?
«Non accetto la sua etichetta di dumping fiscale. L'Olanda cerca di affrontare il problema sulla base di due criteri. Dobbiamo proteggere la nostra base fiscale e questo è cruciale. E come altri Paesi dobbiamo promuovere misure di trasparenza e integrità. La nostra è un'economia aperta. Certo, cerchiamo di creare un clima favorevole agli investimenti per le imprese, riducendo il più possibile la burocrazia. Dobbiamo farlo in modo equilibrato. Combattiamo l'evasione fiscale, incluse posizioni di abuso sul mercato. Abbiamo preso diverse misure negli anni scorsi e altre ne prenderemo. Pensiamo anche che di questo tema si debba discutere non solo a livello nazionale ma anche dentro l'Ocse».
Si dice che l'Olanda sia il Paese dell'Unione europea che soffre di più la Brexit, perché privata della copertura degli inglesi non può più nascondersi e si ritrova in prima fila a difendere il libero mercato e a frenare una maggiore integrazione europea. C'è una verità in questo?
«È vero che su molti temi il Regno Unito era vicino a noi. In particolare, nell'assicurare che il sistema del libero scambio, l'economia aperta, il mercato interno, la libera circolazione dei capitali funzionassero e fossero difesi. Ma non è vero che Londra fosse il nostro solo partner. Ci sono temi sui quali Italia e Olanda sono partner naturali. Con Conte siamo anime gemelle sulla necessità di proiettare l'Ue sulla scena internazionale forte global player sul piano economico e politico».
Quindi non si sente orfano in Europa dopo la Brexit?
«Per nulla. Siamo un Paese fondatore, siamo la quinta economia dell'Unione e siamo amici con molti Paesi, incluso il Regno Unito».
Cos'è o cosa dovrebbe essere la Cina per noi europei?
«Questione cruciale. Dobbiamo interagire con Pechino sulla base degli interessi comuni, ma accettando che ci sono differenze ideologiche. Vedo molte opportunità di cooperazione sui temi energetici o i cambiamenti climatici. Dobbiamo essere realisti, lavorare insieme senza essere ingenui o cedere sui nostri principi».
Che cosa noi italiani non capiamo dell'Olanda?
«Adoro l'Italia e Roma in particolare. Suggerisco sempre Via dei Portoghesi. Non posso dire cosa gli italiani non capiscano di noi, ma ogni tanto ho l'impressione che non pensiate che gli olandesi siano appassionati europeisti. È una percezione sbagliata. Gli olandesi hanno sempre capito i valori dell'integrazione europea. Il sostegno al progetto europeo è molto alto da noi. Come potremmo sopravvivere sulla scena mondiale senza l'Unione? Certo ci sono differenze: so che non capirete mai come possiamo bere un cappuccino dopo mezzogiorno».
Ma è cibo per il mattino, signor primo ministro.
«Lo so. E non capirete mai neppure come possiamo mettere l'ananas sulla pizza. Eppure, lo facciamo. Ma sui grandi temi siamo molto europei. La nostra cultura comune è nata in Grecia e in Italia».
Gli olandesi sono diversi, come suggerisce lo scrittore anglo-olandese Ben Coates?
«Ogni popolo è diverso. Abbiamo la nostra storia, incastonata in quella europea. Penso che per noi olandesi il mare faccia una differenza importante nel modellare le nostre percezioni e il nostro modo di pensare. Con Antonio Costa, il premier del Portogallo, ci siamo trovati d'accordo nel dire che il mare ha giocato un ruolo centrale nel forgiare le identità nazionali dei nostri due Paesi. Un'altra particolarità degli olandesi è la cultura del consenso: abbiamo dovuto combattere contro l'acqua per sopravvivere e abbiamo sempre dovuto farlo insieme. La conseguenza è che ancora oggi è normale che ogni due mesi le organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori vengano nel mio ufficio per discutere sulle cose da fare nella società e nell'economia. Ma ogni Paese è speciale ed è ciò che rende l'Europa unica. È la ragione per cui amo fare le vacanze in Olanda ma non faccio passare un anno senza visitare Roma almeno una volta con mio nipote. Sono anche un po' patriota e penso che l'Olanda sia un grande Paese, dove le persone sono pronte ad aiutarsi gli uni con gli altri, com'è accaduto durante la pandemia».
Signor primo ministro, le dispiace che l'Olanda continui a produrre grandi talenti calcistici e poi questi vanno a giocare altrove?
«È una triste storia. Ma ci stiamo lavorando».
3 luglio 2020 (modifica il 3 luglio 2020 | 00:15)
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Source: Corriere.it
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