La F/V Thunder, «tra le più infami imbarcazioni da pesca al mondo», era ricercata dall'Interpol perché «coinvolta in dieci anni di pesca illegale nell'oceano del Sud, prima di venire deliberatamente affondata dal suo capitano nel Golfo di Guinea». L'inseguimento da parte delle navi della ong Sea Shepherd attraverso tre oceani è durato poco meno di quattro mesi. Siamo nel 2015 e questa è una delle tante storie di cronaca, a volte avvincenti come un thriller, raccontate nel libro Cani, falchi, tigri e trafficanti (in uscita il 7 luglio per Sperling & Kupfer) di Ermanno Giudici — presidente e responsabile delle guardie zoofile di Enpa (Ente nazionale protezione animali) Milano —, con Paola D'Amico, giornalista del «Corriere della Sera».
È un libro inchiesta — servito da una scrittura fluente e accesa — sul commercio illecito di specie animali protette dal Cites (acronimo di Convention on international trade in endangered species), la Convenzione sul commercio internazionale delle specie, fauna e flora, minacciate di estinzione, firmata il 3 marzo 1973 a Washington. Un commercio che nella scaletta delle fonti di profitto delle organizzazioni criminali nel mondo si posiziona al quarto posto, dopo quello della droga, delle armi e dei rifiuti tossici.
Ci sono passione, preparazione, conoscenza approfondita del mondo animale e della legislazione che lo regola in queste pagine, dove le storie narrate sono il più delle volte amare. Giudici, coadiuvato da Paola D'Amico, racconta la sua vita professionale, tra sequestri, ispezioni a sorpresa nei negozi di animali, operazioni internazionali, come la Thunderball, fra l'Interpol e l'Organizzazione mondiale delle dogane (Wco) che nel giugno del 2019 ha portato all'identificazione «di quasi 600 sospetti, innescando arresti in tutto il mondo» e a un sequestro infinito di animali destinati a finire tanto nelle creme cosmetiche quanto nell'abbigliamento. Molti dei personaggi che fanno capolino nelle pagine sono descritti dai due autori con piglio romanzesco, come quel Gianni L. che aveva uno zoo nel modenese e che potrebbe essere tranquillamente uno di quei soggetti viscidi e scivolosi che abitano l'immaginario di un Somerset Maugham. Fra i mille animali detenuti nel suo zoo, l'elenco di quelli illegali, fra aironi, furetti, gufi, era lunghissimo con tanto di testuggini terrestri trovate stipate dentro sacchi di patate e leopardi che mostravano tutti i danni della malnutrizione.
Il lungo racconto, pieno di date, orari, fonti, verbali, numeri, statistiche, si dipana in un lasso di tempo lungo, da quando nel periodo pre-internet Giudici cercava gli annunci di vendita animali sul settimanale «Secondamano» fino ad oggi, con il dark web, dove avvengono i traffici più loschi. Senza dimenticare la situazione sanitaria dei wet market cinesi che «creano le condizioni per la diffusione di zoonosi che possono originare pandemie come quella generata dal virus Sars-Cov-2, che ha messo l'intero pianeta in ginocchio, sotto il profilo sanitario ed economico». Al Covid-19 è dedicata una parte: in piena epidemia, nel febbraio 2020, la Cina ha ritoccato la legge (anche dopo l'aviaria del 2003 si potevano allevare per uso alimentare «specie come la civetta zibetto, benché fosse stata indicata come vettore di zoonosi») e fatto chiudere 19 mila fattorie dove venivano allevati questi animali. Ma nel libro gli autori si soffermano anche sui pericoli alimentari al di fuori dei confini cinesi, parlando del bushmeat (alla lettera «carne da cespuglio»), contrabbando di animali per banchetti esclusivi con bestie sacrificate nel nome del cibo afrodisiaco e introvabile. Più è raro l'animale tropicale messo a tavola e più le persone sono disposte a pagare. All'aeroporto di Parigi il 20 marzo 2017 a 9 passeggeri provenienti dall'Africa furono sequestrati 188 chili di carne illegale.
Nelle ultime pagine, il libro si occupa del disturbo psichiatrico dell'animal hoarding, degli accumulatori di animali. Una malattia che si verifica «quando un individuo possiede un numero di animali che eccede le sue capacità di prendersene cura in modo adeguato». Gli autori riportano il caso delle sorelle (e contesse) Baratieri, che vivevano a Milano in piazza Castello, con cani ovunque, anche in capannoni in periferia. Nel testamento scritto da una delle due, dopo la morte dell'altra si legge: «Lascio tutto ai miei cani, perché gli uomini tradiscono, loro no». Difficile (purtroppo) darle torto.
4 luglio 2020 (modifica il 4 luglio 2020 | 20:52)
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Source: Corriere.it
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