Il superuomo, fulcro della dottrina del filosofo tedesco di fine '800 Freidreik Nietzsche che amava le teorie di Schopenhauer, la musica di Wagner e la città di Torino, è un'idea irreale. Nietzsche parlava di ubermensch, cioè di ultra-uomo, evoluzione dell'uomo dei suoi tempi che, facendo addirittura a meno del divino, era capace di trascendere la meschinità quotidiane uscendo rafforzato dalle più dure prove della vita. Ma l'idea di una superiore razza di uomini, gli ubermenshen, è priva di fondamento scientifico: a dirlo sono oggi i ricercatori della Brown University diretti da Stephen Buka che hanno appena pubblicato uno studio sul British Journal of Psychiatry con cui contestano la cosiddetta teoria dell'inoculazione o dell'incubazione dello stress riassunta dal noto aforisma nietzschiano «ciò che non ti uccide ti rafforza».
Cicatrici profonde
Tale teoria, sviluppata negli anni '80 da Jerry Deffenbacher dell'Università di Waterloo e poi approfondita nel 2011 con Donald Deffenbacher della Colorado State University, presuppone la possibilità di superare gli stress tramite una loro concettualizzazione guidata dal medico. È il cosiddetto SIT, acronimo di stress inolucalion traininig, cioè training di inoculazione dello stress che fa sviluppare meccanismi cognitivo-comportamentali di difesa capaci di opporsi come una sorta di anticorpi psichici verso futuri eventi che potrebbero riprodurre la stessa situazione ansiogena della prima volta. I ricercatori della Brown University hanno ora invece dimostrato che «ciò che non uccide», come un grave stress, non rafforza affatto la psiche, ma lascia cicatrici profonde che la indeboliscono per lungo tempo. Analizzando le conseguenze lasciate su 1160 cileni dal grave terremoto verificatosi nel loro Paese nel 2010 si sono accorti che la loro suscettibilità allo stress da disastro era aumentata invece di diminuire come presupponeva la teoria di Nietzsche. Il dato è peraltro a prova di contestazioni perché per caso è risultato confrontabile con la situazione precedente al sisma in quanto ricavato da una coorte di pazienti che era sotto osservazione dal 2003 per uno studio che stava valutando un questionario diagnostico chiamato CIDI, acronimo di Composite International Diagnostic Interview che con 12 domande indaga i principali fattori stressogeni della vita.
Olocausto e Vietnam
E a dir la verità di studi di questo tipo ce ne sono stati anche altri come quello pubblicato sull'American Journal of Psichiatry nel 2014 dai ricercatori della Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York diretti da Rachel Yehuda che ha rintracciato addirittura danni metabolici nei discendenti dell'olocausto trasmessi loro dalle madri internate nei campi di concentramento durante la gravidanza. Le privazioni subite dalle donne avevano minato a tal punto il loro sistema metabolico da tramandare tale segno ai figli come carattere epigenetico, cioè con un'ereditarietà meno forte di quella genetica, ma che ha condannato la nuova generazione al rischio di sindrome metabolica, ipertensione, obesità, insulino-resistenza, cardiopatie, ecc. perché questi figli si sono trovati in un mondo che offre loro un'abbondanza di cibo verso cui il disturbo dismetabolico che aveva colpito le loro madri li ha resi più deboli. Un altro studio sui reduci del Vietnam di Detroit pubblicato sulla stessa rivista nel 1999 dai ricercatori della Michigan University diretti da Maomi Breslau aveva dimostrato che chi aveva subito traumi psicologici o fisici in gioventù aveva una minor resistenza allo stress nell'esperienza di guerra a dimostrazione del fatto che i trascorsi in una città a rischio come Detroit, una delle più pericolose degli USA. non li aveva rafforzati affatto, ma indeboliti.
Aborto e disturbo post-traumatico da stress
Lo studio più recente che smentisce Nietzsche è stato pubblicato pochi giorni fa sull'American Journal of Obstetrics and Gynaecology dai ricercatori dell'Imperial College di Londra diretti da Tom Bourne e indaga un evento della vita delle donne assai più comune dei cataclismi e delle guerre, ma spesso sottovalutato dal punto di vista della prevenzione psicologica: l'aborto. Oltre un terzo delle donne (29%) che sperimentano la perdita del loro bambino entro un mese dall'evento sviluppa infatti stress post-traumatico e quasi altrettante (24%) uno stato ansioso da grave a moderato. Ma ciò che importa è che le conseguenze di questo vero e proprio shock psicologico perdurano: nove mesi dopo nel 17% è ancora presente grave ansia, nel 6% si riscontra depressione, da moderata a grave, e nel 18% si sviluppa un PTDS. PTDS La sigla PTDS è l'acronimo di post traumatic stress disorder, cioè disturbo post-traumatico da stress, la sindrome che colpisce dopo un forte shock traumatico come una rapina, un abuso sessuale, un incidente stradale. Casi eclatanti di PTDS si osservano soprattutto in guerra dove è assai diffuso fra i soldati e le popolazioni coinvolte dal conflitto. Lo stesso accade nei cataclismi naturali come uragani e terremoti e i suoi effetti possono durare a lungo: dopo lo Tsunami in Thailandia e Maldive del 2004, ad esempio, 3.500 svedesi che svernavano nelle isole quando si verificò ne presentavano tutti i sintomi ancora 3 anni dopo.
Torri gemelle
Il PTSD provoca nervosismo e stato di allarme eccessivi con paure infondate, sensazione di rivivere l'evento traumatico con pensieri intrusivi e flashback, deficit di memoria, insonnia, depressione, ecc. I sintomi sono più gravi nelle donne, nei giovani con meno di 25 anni, negli ossessivi e in chi attraversa un brutto periodo economico. Una caratteristica costante del disturbo è che la sua causa scatenante sia un evento improvviso, incontrollabile ed estremamente grave. La sua gravità è massima se incontra un apparato psichico completamente impreparato alla situazione, incapace cioè di mettere in atto qualsiasi meccanismo di difesa. Un esempio classico è il coinvolgimento in un attentato: quello delle Torri Gemelle di New York ha provocato nei newyorkesi una vera epidemia di PTDS durata anni in maniera diversa da persona a persona a seconda della sua particolare resistenza epigenetica, o come dicono gli psichiatri, della sua resilienza, un termine salito alla ribalta negli ultimi mesi di pandemia da COVID che è stata una vera e propria guerra con morti e feriti. Come nessuno degli abitanti della grande mela era in stato di allerta quando gli aerei piombarono sulle Tween Towers, così quando è scoppiata l'epidemia da coronavirus nessuno era preparato ad affrontarla.
Lo stress è l'inaspettato
Lo stress infatti non è ciò che ci capita, ma è come prendiamo quello che ci capita, come a dire che il vero evento stressante è quello che il nostro organismo non riesce a prevedere e a neutralizzare. In genere l'organismo riesce ad adattarsi alle esigenze e alle sollecitazioni dell'ambiente, ma alcuni eventi che incontriamo nel corso della vita (lutti, perdite, incidenti), gli stress psicosociali (licenziamento) e anche solo quelli fisici (fatica) e metabolici (digiuno), possono portare a risposte patologiche. Quando questi eventi stressanti sono eccessivi, durano troppo a lungo o se la resilienza di un soggetto è congenitamente alterata, portano a risposte patologiche. I meccanismi con cui l'organismo di solito neutralizza gli eventi stressanti vengono definiti "meccanismi di coping" e sono gli stessi che vengono fatti sviluppare dal metodo SIT ideato dai Deffenbacher. Nello stress generato dal disastro delle Twin Towers, non c'è stato tempo per mettere in atto nessun coping, nessuna forma di neutralizzazione e di adattamento. Se infatti l'impatto di un evento è troppo forte per essere arginato dai meccanismi naturali sviluppatisi per neutralizzare stress che, per quanto forti, rientrano nella normalità, nessun coping può bastare. Quasi il 10% dei newyorkesi ha sviluppato un disturbo depressivo e il 20% di chi viveva o lavorava vicino alle Twin Towers un PTDS con ricordi ricorrenti e intrusivi del disastro, un disturbo che, prima dell'11 settembre, a New York aveva una prevalenza della metà. Ancora oggi un forte rumore improvviso può indurlo a comportarsi come se l'evento accadesse di nuovo, ha perso il sonno e gli interessi e presenta difficoltà di memoria e di concentrazione.
Il sopravvissuto
Qualcuno, soprattutto fra le eroiche tute arancioni dei pompieri di Manhattan ha anche sviluppato un forte senso di colpa per essere sopravvissuto a chi non ce l'ha fatta: è la cosiddetta sindrome del sopravvissuto, aumentata anche durante la recente pandemia fra gli operatori di sanità, medici, farmacisti, infermieri quando hanno perso un collega per coronavirus ritrovandosi da soli a fronteggiare la pandemia. Dando ragione a Nietzsche e alla teoria dell'inoculazione dello stress dei Deffenbacher, un po' per l'innata voglia di superare le battaglie e un po' per farsi coraggio, in quei giorni (si veda foto sopra, ndr) dalle finestre sopra l'ingresso dell'Ospedale Fatebene-Fratelli di Milano sventolava un lenzuolo dove medici e infermieri avevano scritto: «Tutto il meglio resta, il peggio invece passa». Li hanno chiamati eroi. Forse, checché ne dicano anni di ricerche, erano gli ubermenschen profetizzati da Nietzsche. Ma non superuomini e superdonne, solo persone abituate a combattere ogni giorno fra la vita e la morte. E a non mollare mai…
11 luglio 2020 (modifica il 11 luglio 2020 | 14:56)
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Source: Corriere.it
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