Caro Aldo,
ci si dovrebbe interrogare come mai la memoria della Grande Guerra è molto poco sentita e soprattutto poco celebrata dagli italiani. Ma del resto gli italiani sanno cosa successe esattamente quel giorno di cento anni fa? Dichiarazioni enfatiche e retoriche vorrebbero convincerli che con la vittoria nella Prima guerra mondiale l'Italia completò la sua unità territoriale. In realtà, sappiamo che l'Italia combatté anche per obiettivi imperialistici e colonialistici, ovvero per annettere terre non italiane, specie in area adriatica. Dobbiamo quindi celebrare l'imperialismo italiano? Farsi questa domanda è, a suo giudizio, cosa anti-italiana o sarebbe invece opportuno in nome di una seria riflessione sulla nostra storia?
GianPaolo Ferraioli, Roma
Caro GianPaolo,
La risposta è no: non dobbiamo celebrare l'imperialismo italiano, ammesso che si possa definire tale. Dobbiamo ricordare però il sacrificio dei nostri nonni. Purtroppo, al di fuori della cerchia familiare, in Italia chi è morto lo è per sempre. E dei fanti della Grande Guerra non è rimasto nessuno. Il loro ricordo è affidato a noi, che non sempre siamo all'altezza della situazione. Mi è accaduto di discutere dell'intervento italiano nel primo conflitto mondiale con l'allora capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Graziano, che ha studiato a lungo la questione anche nell'archivio dell'esercito. La sua opinione è che l'Italia non sarebbe potuta restare neutrale. In effetti tutte le grandi potenze d'Europa — ma pure le medie e le piccole, tranne la Spagna che non aveva interessi territoriali in gioco — nella primavera del 1915 stavano combattendo.
Personalmente resto convinto che avesse ragione Giolitti e l'intervento sia stato un errore. Non è vero però che l'Impero avrebbe ceduto le terre irredente senza combattere. Qualche offerta parziale e tardiva fu fatta, ma la premessa era l'attesa della fine della guerra e della vittoria austro-tedesca. Pensi che persino nei giorni precedenti il crollo l'imperatore Carlo era sì disposto a cessioni territoriali, ma non a trattare direttamente con gli italiani. Infatti tentò di farlo con i francesi; un po' come il suo predecessore Francesco Giuseppe aveva ceduto prima la Lombardia e poi il Veneto non ai Savoia ma a Napoleone III. Insomma non è peregrino sostenere che gli austriaci andavano probabilmente affrontati e battuti. Non con la tattica dell'assalto frontale cara a Cadorna e a Capello, però.
LE ALTRE LETTERE DI OGGI
Storia
«Abbiamo paura, ma dobbiamo restare uniti»
Ho 18 anni, sono un ragazzo come tanti. Potevo fare un post sui social, ma quel mondo surreale non mi è mai piaciuto, mentre scrivere al Corriere mi sembra più concreto e meno sensazionalistico, anche perché, in un momento in cui sono diventati tutti dottori e giornalisti, io mi fido ancora della notizia, quella vera. La crisi che stiamo affrontando sta degenerando, ma non sono un allarmista, e non parlo solo del coronavirus. Si è preso già molti di noi e i contagi aumentano, ma in questo clima di paura dobbiamo cercare di essere forti. È una cosa scontata da dire, ma non per questo falsa. Uniti possiamo farcela, non è facile e non dobbiamo reprimere la paura, perché non esiste il coraggio senza di essa, ma non lasciamo che l'ansia diventi isteria, perché quello è un virus molto più difficile da debellare. Non voglio rinunciare ai miei sogni e, soprattutto, non voglio perdere le persone a me care, che è la paura più grande. Non dobbiamo unirci solo a parole, per questo mi dà fastidio il comportamento di certi politici, che non riescono a mettere da parte le loro ingordigie. Se c'è qualcosa che dobbiamo trascurare, sono le nostre divergenze, che non valgono nulla di fronte alla vita dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, perché l'Italia può farcela, deve farcela, io ci credo, ci devo credere. È giunto il momento di «stringerci a coorte», quindi vi prego, resistiamo.
Leonardo Castoro Grumo Appula (Ba)
INVIATECI LE VOSTRE LETTERE
Vi proponiamo di mettere in comune esperienze e riflessioni. Condividere uno spazio in cui discutere senza che sia necessario alzare la voce per essere ascoltati. Continuare ad approfondire le grandi questioni del nostro tempo, e contaminarle con la vita. Raccontare come la storia e la cronaca incidano sulla nostra quotidianità. Ditelo al Corriere.
MARTEDI — IL CURRICULUM
Pubblichiamo la lettera con cui un giovane o un lavoratore già formato presenta le proprie competenze: le lingue straniere, l'innovazione tecnologica, il gusto del lavoro ben fatto, i mestieri d'arte; parlare cinese, inventare un'app, possedere una tecnica, suonare o aggiustare il violino
MERCOLEDI — L’OFFERTA DI LAVORO
Diamo spazio a un'azienda, di qualsiasi campo, che fatica a trovare personale: interpreti, start-upper, saldatori, liutai.
GIOVEDI — L’INGIUSTIZIA
Chiediamo di raccontare un'ingiustizia subita: un caso di malasanità, un problema in banca; ma anche un ristorante in cui si è mangiato male, o un ufficio pubblico in cui si è stati trattati peggio. Sarà garantito ovviamente il diritto di replica
VENERDI -L’AMORE
Chiediamo di raccontarci una storia d'amore, o di mandare attraverso il Corriere una lettera alla persona che amate. Non la posta del cuore; una finestra aperta sulla vita.
SABATO -L’ADDIO
Vi proponiamo di fissare la memoria di una persona che per voi è stata fondamentale. Una figlia potrà raccontare un padre, un marito la moglie, un allievo il maestro. Ogni sabato scegliamo così il profilo di un italiano che ci ha lasciati. Ma li leggiamo tutti, e tutti ci arricchiranno.
DOMENICA — LA STORIA
Ospitiamo il racconto di un lettore. Una storia vera o di fantasia.
LA FOTO DEL LETTORE
Ogni giorno scegliamo un'immagine che vi ha fatto arrabbiare o vi ha emozionati. La testimonianza del degrado delle nostre città, o della loro bellezza.
Inviateci le vostre foto su Instagram all’account @corriere
Leggi articoli in italiano. Corriere.it
Комментариев нет:
Отправить комментарий