Consumi ai tempi del coronavirus: boom per i prodotti surgelati mentre è sparita la coda al banco del fresco. Tutto è consegnato a domicilio, dai pasti alla spesa. La casa diventa il rifugio-prigione degli italiani. In cucina i ragazzi collegati in videolezione, in salotto i genitori in smartworking: la convivenza non è sempre facile. La grande distribuzione è uno dei pochi settori avvantaggiati dalla crisi sanitaria. Più 12% le vendite nella settimana dal 24 febbraio al primo marzo. Con un record al Sud: +15,8%, nonostante i picchi d'allarme fossero concentrati al Nord.
Consapevoli del loro ruolo nell'emergenza, le insegne della grande distribuzione si stanno mobilitando. Esselunga ha previsto donazioni per 2,5 milioni di euro agli ospedali in prima linea, dallo Spallanzani di Roma al Sacco di Milano. Nello stesso tempo da oggi fino a Pasqua consegnerà la spesa gratis agli over 65, invitati dal governo a restare a casa. Il marchio della grande distribuzione ha pensato anche ai fornitori, con un'iniziativa che agevola i pagamenti grazie a un accordo con Unicredit. E i dipendenti? «Visto il lavoro eccezionale di queste settimane, sia nei negozi che nella preparazione delle spese online, garantiremo un intervento straordinario di welfare del valore di 150 euro a persona», dicono dal quartier generale. Esselunga non è l'unica a potenziare le consegne a domicilio. Anche Carrefour porta la spesa gratis agli over 65: «Il servizio esisteva già ma in questi giorni lo abbiamo dovuto rafforzare in modo pesante. Sia attraverso una riorganizzazione delle squadre che con partnership esterne. Inoltre abbiamo attivato un call center. Gli anziani che non hanno familiarità con Internet possono ordinare al telefono. Per ora in Lombardia».
Anche chi non aveva un servizio strutturato di consegne a domicilio si inventa soluzioni. È il caso di Bennet che nel comune di Erba recapita la spesa in collaborazione con un network di onlus. È l'Italia che in emergenza cerca di fare sistema. Intanto le aziende — già alle prese con drastici cali di fatturato e un futuro incerto — cercano di attuare una rivoluzione organizzativa. Un esempio per tutti: il quartier generale di San Donato Milanese dell'Eni è deserto. I circa 7.000 dipendenti lavorano tutti da casa dal 26 febbraio. Le grandi imprese che avevano già attivato modalità di lavoro a distanza — da Intesa Sanpaolo a Unicredit, da Siemens a Bayer — sono avvantaggiate: si tratta semplicemente di allargare il circuito dei lavoratori a distanza. Per gli altri è tutto molto più complicato.
C'è poi chi il telelavoro proprio non se lo può permettere: è il caso di fabbriche e servizi al pubblico. Qui la sfida è evitare che qualcuno si ammali perché questo vorrebbe dire interrompere la produzione, come è avvenuto, per esempio, all'Italdesign di Moncalieri, in Piemonte, all'inizio dell'emergenza. Ecco allora che c'è chi, come Abb, chiede ai dipendenti di sottoporsi all'ingresso alla misurazione della temperatura. Il sindacato spesso si oppone. Dove finisce la privacy e inizia la tutela della salute? «L'articolo 2087 del Codice civile attribuisce all'impresa la responsabilità della salute e sicurezza dei dipendenti. Senza contare che ciascuno ha una responsabilità anche nei confronti dei colleghi», fa presente Massimo Bottelli, direttore del settore Lavoro e Welfare di Assolombarda, la territoriale di Confindustria di Milano, Monza, Pavia e Lodi —. Si tratta di valutare con lucidità se in un'emergenza come questa la tutela della salute prevalga sulla privacy». In tutto questo rimescolarsi di compiti e ruoli, ancora trascurato l'effetto coronavirus sul lavoro domestico. «Molte badanti e colf si stanno licenziando per tornare al loro Paese — dicono in Assindatcolf —. D'altra parte temiamo che il bonus baby sitter non generi nuove assunzioni». Morale: tra le mura domestiche, complice anche la chiusura delle scuole, c'è più lavoro da sbrigare. «Speriamo che dall'emergenza nasca una divisione più equa dei carichi di lavoro domestici», si augura Massimo Bottelli di Assolombarda. Un'occasione, nella difficoltà, per diventare un Paese più moderno.
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