DARE la precedenza a chi ha "maggior speranza di vita" e non seguire necessariamente un criterio di accesso alle terapie intensive basato sul "chi arriva prima, viene curato prima". La Siaarti, società scientifica degli anestesisti e rianimatori, ha pubblicato ieri delle raccomandazioni di etica clinica per tutti i professionisti che in questi giorni lavorano nei reparti più sotto pressione del Paese. Quando ci sono più pazienti per un respiratore, bisogna privilegiare chi è più giovane o comunque non ha patologie importanti.«Può rendersi necessario porre un limite di età all'ingresso in terapia intensiva».
Dottoressa Flavia Petrini, presidente Siaarti, come nascono le vostre raccomandazioni?
«Si tratta di un documento tecnico, destinato ai professionisti e sul quale non ci sarebbe bisogno di un dibattito pubblico. I casi si discutono singolarmente, mettendo a conoscenza i parenti delle persone interessate di quello che si intende fare. Lo abbiamo redatto perché il Lombardia ci sono condizioni disperate, e i professionisti hanno l'esigenza di non essere lasciati soli di fronte a scelte difficili. Già oggi devono decidere chi attaccare al ventilatore e chi no».
Ma non venivano prese decisioni su quali pazienti trattare anche prima dell'emergenza coronavirus?
«Certo ma non capitava spesso. In quel caso, anche se magari ti trovavi a decidere una volta al giorno, riuscivi a gestire lo stress. Quando sei continuamente martellato da un'emergenza che ormai dura dal 21 febbraio, e devi stabilire quale paziente curare prima in più occasioni nelle ventiquattr'ore, le cose cambiano».
Il principio della cura intensiva a chi ha "maggior speranza di vita" era già utilizzato?
«Certo, lo avevamo indicato in altri documenti. Non è la condotta del professionista ad essere eccezionale in questo momento ma l'alto afflusso di persone malate. E faccio notare che il principio non viene applicato solo tra chi ha il coronavirus ma anche tra chi è colpito da altre patologie gravi, che ovviamente continuano ad esserci».
La crisi delle terapie intensive riguarda soprattutto una regione, che ora vuole trasferire malati.
«Non è sempre possibile farlo, ci vuole il personale per portare in fondo questi trasferimenti protetti. Non bastano gli infermieri, deve esserci anche l'anestesista e in questo momento il personale scarseggia. Anche perché tanti dipendenti del sistema sanitario sono a casa in quarantena».
Il governo ha intenzione di aumentare i letti nelle terapie intensive del 50% rispetto ai 5.100 disponibili adesso.
«Si può fare ma ci sono dei tempi tecnici da rispettare. Vanno preparati i locali, i letti di terapia intensiva non si possono mettere ovunque, perché hanno bisogno di tecnologie che non si trovano in tutte le stanze di ospedale. L'utilizzo delle sale operatorie come aree protette e dedicate ai pazienti che necessitano di terapie intensive è una possibile soluzione tampone. Ma ovviamente cala il numero di interventi chirurgici».
Nell'ultimo decreto legge si parla di nuove assunzioni di anestesisti. Ma ce ne sono?
«Secondo me fuori dal sistema se ne trovano ben pochi. Già oggi gli specializzandi degli ultimi anni sono al lavoro. La nostra specialità è da anni carente. In questo momento nel sistema ci sono già molti che fanno "volontariato", cioè colleghi assunti che prestano tempo extra gratuitamente al loro ospedale».
Non le sembra che l'emergenza Covid-19 abbia fatto scoprire agli italiani i problemi del sistema sanitario come le carenze di personale?
«Sì. Io ovviamente preferirei non vedere il virus dilagare, però adesso finalmente le persone si rendono conto di cosa vuol dire inappropriatezza, di come affollando i pronto soccorso con problemi banali si ostacola il lavoro sui casi importanti, di come il nostro sistema abbia perso negli anni scorsi troppi letti e professionisti. Quando tutto questo sarà finito discuteremo con il ministero alla Salute e con le Regioni di organizzazione e carichi di lavoro. Per non doverci trovare più in questa situazione»
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