воскресенье, 1 марта 2020 г.

L’epidemia «ironica» ai tempi dei social

«Paziente 0 è figlio di Genitore 1 e Genitore 2»; «Verrà fuori che il paziente 0 di Wuhan era uno di Codogno»; «Comunque sono ottimista, le cose dei cinesi durano sempre poco»; «Virus, m'hai provocato e mo' me te magno». La più bella, una notifica social: «Coronavirus ha iniziato a seguirti».

Ironia, sarcasmo, irrisione, battutismo: il web (non la funerea tv) prova a esorcizzare la paura del contagio, a rovesciare l'allarmismo in sfrontatezza. Spesso, la sua, è solo un'intenzione mancata, più che un effetto riuscito. Pazienza, è anno bisesto. La risata è catartica di fronte al profluvio di pareri che governanti, competenti e incompetenti, responsabili e irresponsabili non hanno mai smesso di diffondere, in assoluta disarmonia, da quando è iniziata la crisi epidemica (i media, per loro natura, non vanno mai in quarantena). Le narrazioni confuse o le sceneggiate generano solo insicurezza e paura. A seguire le tv, il pendolo dell'ansia è passato dall'apocalisse all'influenza stagionale, per poi tornare al catastrofismo, ma forse no. Questa è anche la prima epidemia ai tempi dei social: la psicosi dell'opinione pubblica diventa così un secondo virus (dovremmo smetterla di usare l'aggettivo virale). Non ci resta che l'ironia, unico segno di salute oggi in circolazione. Significa colpirsi, prima che ci colpisca il panico.

29 febbraio 2020, 23:19 — modifica il 29 febbraio 2020 | 23:20

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