Ieri i mercati sono stati scioccati da un improvviso aumento dello spread BTP-Bund, come se quello che sta succedendo alle borse di tutto il mondo, per non pensare al contagio, non bastasse a tenerci svegli. Lo spread italiano era passato da 200, il livello intorno al quale si era aggirato dall’autunno dello scorso anno, a 270 giovedì 12 marzo, dopo la conferenza stampa di Christine Lagarde quando la presidente della BCE aveva detto: «Non è il compito della BCE stabilizzare gli spread». Poi ieri è balzato ulteriormente da 270 a 330. A quel punto i mercati hanno cominciato a dubitare della solvibilità dell’Italia. La domanda che si ponevano è: a questo livello di tassi di interesse (uno spread di 300bp significa che il rendimento dei BTP è vicino al 3 per cento) e tenendo conto dell’aumento del deficit di bilancio che sarà necessario per affrontare l’emergenza Covid-19, il debito italiano è sostenibile?
Questa è la stessa domanda che gli investitori si erano posti nell’autunno del 2011, quando gli spread italiani balzarono prima a 300 e poi a 500, facendo precipitare una crisi dell’area dell’euro che si è conclusa solo con «Whatever it Takes» di Mario Draghi. Il debito italiano è sostenibile? Prima dell’inizio della crisi provocata dal Covid-19, il debito italiano era pari al 130 per cento del PIL circa. Eppure, il rendimento dei titoli di Stato italiani a 10 anni era inferiore all’1%. Così, come spesso accade, i mercati evidentemente non si preoccupavano né del rischio di credito né del rischio di ridenominazione (cioè di una rottura dell’euro e di un ritorno alla Lira). Come ha scritto ieri l’ex capo-economista del FMI, Olivier Blanchard visti i tassi di crescita attesi, e nell’ipotesi che l’Italia potesse continuare ad indebitarsi a quei bassi tassi, fino alla scorsa settimana, prima dell’intervento di Christine Lagarde, tutto quello che il governo italiano doveva fare per stabilizzare il rapporto debito/PIL era produrre un deficit primario (cioè un deficit di bilancio al netto degli interessi) non superiore al 2 per cento del PIL. La maggior parte degli osservatori ritiene che ciò sia economicamente e politicamente fattibile. Cosa è cambiato questa settimana?
Supponiamo che le misure adottate dal governo italiano lunedì scorso per affrontare l’emergenza Covid-19, e la recessione che l’epidemia causerà, comportino un aumento del 20 per cento del rapporto debito/PIL (probabilmente una stima per eccess). Per stabilizzare il rapporto debito/PIL a quel livello, più elevato, sarebbe necessario un aumento del saldo primario dello 0,2 per cento del PIL. È difficile credere che ciò sia impossibile. E se gli investitori non fossero d’accordo con l’analisi di cui sopra e chiedessero tassi più alti sui titoli italiani (come hanno fatto negli ultimi giorni)? L‘Italia cadrebbe in un “cattivo equilibrio” cioè una situazione in cui le loro aspettative si auto-realizzano. E il debito italiano diverrebbe insostenibile. Ma questo può essere evitato. Come sostiene ancora Olivier Blanchard, in un thread di Twitter, la BCE doveva intervenire. È ciò che ha fatto ieri sera, dopo che un grande fondo statunitense era andato gambe all’aria rischiando di travolgere Wall Street. Lo ha fatto, come si legge nel comunicato emesso a mezzanotte, aumentando di 750 miliardi di euro il volume dei suoi acquisti nei prossimi nove mesi ed eliminando — e questa è la decisione più importante – il vincolo che gli acquisti siano proporzionali alle quote di capitale nella banca (l’Italia ha il 13%). Questo non significa che d’ora in poi i mercati saliranno ma, insieme alle notizie relativamente buone del contagio in Italia, potrebbe significare che i giorni più lunghi sono probabilmente alle nostre spalle.
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