четверг, 5 марта 2020 г.

Coronavirus, vaccino: «Decine di laboratori ci lavorano. In un anno lo avremo»

Rino Rappuoli, 67 anni, microbiologo esperto di vacciniRino Rappuoli, 67 anni, microbiologo esperto di vaccini

Avremo, prima o poi, un vaccino per Covid-19? «Io sono ottimista» risponde Rino Rappuoli, uno dei massimi esperti internazionali di vaccini e direttore scientifico di Gsk vaccini. «Nella migliore delle ipotesi forse anche entro un anno, perché, più o meno, sappiamo come farlo e perché le tecnologie sono avanzate moltissimo: alcune, che soltanto cinque o sei anni fa erano pionieristiche, oggi sono a disposizione di tutti i soggetti più competenti di questo settore».

Quali sono i passi da fare?
«In laboratorio, una volta avuta la sequenza genetica del virus — che in questo caso è disponibile dallo scorso 7 gennaio — si possono realizzare vaccini anche in una settimana, utilizzabili però soltanto in laboratorio e su modelli animali, dopodiché vanno provati nell'uomo e questo comporta due fasi, per una durata complessiva di almeno sei mesi».

Chi è più avanti?
«Da gennaio ci sono decine di laboratori nel mondo, sia accademici sia industriali, impegnati, e diversi di essi hanno già prototipi in laboratorio. Non escludo che alcuni possano iniziare le sperimentazioni preliminari sull'uomo anche fra poche settimane».

Quando dovesse essere pronto un vaccino si potrà produrlo su grande scala?
«Dal 2010 ci sono tecnologie che possono essere applicate a più vaccini, per cui un impianto predisposto per uno può servire anche per altri. È il caso, per esempio, di quello per il vaccino approvato a dicembre del 2019 per Ebola, che potrebbe essere usato, in linea teorica, anche per un vaccino contro questo coronavirus».

Per approfondire:

Com'è possibile che un vaccino per Ebola funzioni anche per il coronavirus?
«Non sarebbe lo stesso vaccino, ma potrebbe essere prodotto allo stesso modo se fosse anch'esso un vaccino a vettore virale . Questi vaccini utilizzano, appunto, virus che non hanno nulla a che vedere con quelli verso i quali si vuole far sviluppare l'immunità, e che sono innocui per l'uomo. Però, proprio in quanto virus, sono capaci di infettare una cellula e di fargli produrre determinate proteine. Il trucco sta nell'inserire in questi virus un gene che fa sintetizzare una proteina del virus da cui ci si vuole difendere. La proteina verrà "esposta" sulla superficie della cellula cosicché il sistema immunitario imparerà a riconoscerla e si preparerà a costruire anticorpi quando dovesse incontrarla di nuovo, questa volta portata dal virus "cattivo". Per Ebola c'è un impianto di produzione, non enorme ma già pronto. Quello che va fatto è sostituire il gene che codifica per la proteina del virus Ebola con un gene che codifichi per la proteina del nuovo coronavirus. C'è chi ci sta già lavorando, mentre altri gruppi stanno percorrendo la stessa strada usando adenovirus».

Ci sono altri tipi di vaccini che potrebbero essere pronti relativamente in fretta?
«Quelli a Rna. Il concetto è lo stesso. Si fa un gene sintetico che fa produrre la proteina del virus che si vuole combattere, ma invece di metterlo all'interno di un vettore virale si inietta direttamente nelle cellule in una formulazione speciale. Non richiede di far crescere virus o batteri ed è più facile la sua industrializzazione. Però non c'è ancora un vaccino già approvato da un ente regolatorio come nel caso di quello per Ebola».

I vaccini tradizionali in che cosa differiscono? E potrebbero essere pronti altrettanto presto?
«I vaccini classici si basano sulla produzione di una proteina del virus, che poi viene iniettata nell'uomo, con o senza adiuvanti, cioè preparati che sono capaci di facilitare la risposta immunitaria. La realizzazione di questi vaccini richiede più tempo, perché per approntare la proteina ci vogliono almeno sei mesi e non bastano certo poche settimane in laboratorio. Il loro vantaggio è rappresentato dal fatto che poi, però, possono essere prodotti in grandi quantità e sappiamo che funzionano bene. Per farli "lavorare" in modo efficiente contro il coronavirus serviranno anche adiuvanti e per svilupparne di adatti all'uomo ci vogliono molti anni».
In questi giorni è stato sollecitato più volte l'impegno italiano nella ricerca contro il coronavirus. È stato chiamato a partecipare a qualche task force in questo senso?
«Ho partecipato a un incontro presso l'Istituto Superiore di Sanità nel corso del quale ho potuto esprimere le mie opinioni per quanto attiene alle mie competenze e sono in contatto con chi prende le decisioni in questo momento. Però, per adesso, devo ribadire che gli unici mezzi che abbiamo sono soltanto l'isolamento e la quarantena».

5 marzo 2020 (modifica il 5 marzo 2020 | 07:46)

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