вторник, 7 июля 2020 г.

Georgina Clark, prima donna arbitro a Wimbledon, che placò McEnroe

E poi dicono che gli inglesi sono tradizionalisti. Il 7 luglio 1984, trentasei anni fa oggi, un sabato (what else?), Georgina Clark diventava la prima donna ad arbitrare una finale di Wimbledon. E siccome il tennis sull'erba verde verdissima di Church Road ci manca moltissimo, facciamo un salto nel posto delle fragole per raccontare la storia della signora Clark nata Lawrence a Hong Kong nel 1940, capace in un pomeriggio di togliere un po' di polvere dagli scaffali del caro, vecchio Wimbledon.

Calorosamente austera, simpaticamente burbera, morbidamente rigida, a furia di ossimori Miss Lawrence sposata Clark diciottenne, cinque figli sfornati al devoto marito John in una decade (accudendo anche i tre della sorella Sheila, scomparsa giovane), era diventata una delle figure di riferimento più rispettate e amate del circuito tennistico internazionale. Soprannominata Madre Superiora per il calmo pragmatismo con cui sapeva affrontare e risolvere i problemi dei giocatori in campo e fuori, nell'arco di sei lustri Georgina ha ricoperto molti dei ruoli offerti dall'arco costituzionale del tennis: giocatrice lei stessa (risulta una partecipazione al torneo junior di Wimbledon), buona praticante di badminton e lacrosse, allenatrice e poi arbitra per la Federazione britannica, infine tour director per la Wta fino all'inaugurazione del primo ufficio europeo dell'associazione delle tenniste professioniste, a Londra, tagliandone il nastro insieme all'amata Lady Diana. Correva l'anno 1988.

Apprezzata per il suo marcato lato umano, Georgina aveva sfoderato tutto il pragmatismo di cui era portatrice sana un giorno sul seggiolone del campo 1 di Wimbledon, alle prese con un certo John McEnroe: distratta da un brusio sulle tribune dovuto al mancamento di una spettatrice per il caldo, la signora Clark ritrovò il filo del match solo a scambio ultimato, ignara di chi avesse vinto il punto. Chiunque avrebbe sudato freddo, ma nel suo caso l'irascibile americano (che Georgina qualche tempo prima non aveva avuto timore di ammonire con un warning al torneo del Queen's) si limitò a raccogliere l'asciugamano e a mormorare «30-15», lanciandole uno sguardo pieno di rara comprensione. Sempre lei era stata capace di disinnescare la crisi isterica di Martina Hingis a Parigi, con la ceca impegnata nella finale '99 contro la «vecchia» Steffi Graf, una pratica che Martina junior avrebbe dovuto sbrigare facilmente e che, invece, si era maledettamente complicata, riducendo la mini campionessa sull'orlo del pianto.

Ma la signora Georgina Clark è entrata dalla porta principale della storia di Wimbledon arbitrando — prima donna — la finale 1984, capitolo numero 60 di una rivalità lunga ottanta sfide tra Chris Evert e Martina Navratilova. Alla fine, ricevendo il premio dal duca di York, Georgina era riuscita a ricacciare indietro quelle lacrime di commozione che il 28 febbraio 2010, giorno della sua morte a 70 anni dopo una lunga malattia, ha speso per lei il mondo del tennis, per una volta compassionevole e non cinico. Undici nipoti conservano la memoria della Madre Superiora, oltre al tempio di Wimbledon naturalmente, il luogo che ha (almeno) un ricordo per ogni anima che l'ha frequentato.

7 luglio 2020 (modifica il 7 luglio 2020 | 17:32)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Source: Corriere.it

Комментариев нет:

Отправить комментарий