понедельник, 29 июня 2020 г.

Wimbledon, Neil Stubley, papà dei 38 campi vuoti: «Li amo come figli»

In un mondo normale, oggi sarebbe cominciato il torneo di Wimbledon. Con i suoi refrain. La coda lungo Church Road, le insipide fragole innaffiate dalla panna rigorosamente insapore, il match del campione in carica — quel Novak Djokovic oggi tristemente positivo al coronavirus per i noti e scellerati motivi, mentre sui social impazza il video di Sasha Zverev danzereccio e sguaiato a una festa per vips mentre dovrebbe essere in quarantena; ps: che delusione questi miliardari del tennis smascherati in tutta la loro immaturità e vuotezza dalla pandemia rivelatrice —, il match del campione in carica, dicevamo, scelto per inaugurare l'erbetta fresca del campo centrale gremito.

In un mondo normale, ogni tradizione di Wimbledon oggi si sarebbe fatta trovare puntuale al suo posto, contribuendo al fascino e alla storia del torneo più importante e prestigioso del pianeta tennis. E invece no. Niente Wimbledon, niente tennis, niente verde verdissimo né tradizioni. Ma a calare come un balsamo sulle nostre anime perturbate dagli eventi, in diretta Zoom da Londra arrivano le parole dell'eminenza grigia che nel perimetro dell'All England Club conta addirittura più della regina Elisabetta d'Inghilterra (che fino al 2016 ha patrocinato il circolo, carica poi passata a Kate Middleton): il capo giardiniere Neil Stubley, l'esperto di agronomia che fu il primo a sconsigliare — quando ancora si cercava di scongiurare la cancellazione — un posticipo ad agosto di Wimbledon: «A fine estate il sole si abbassa sull'orizzonte. La rugiada arriva prima e i campi diventano scivolosi. All'erba, che è un elemento vivo, non si comanda». Come a dire: decide l'erba quando ci si può giocare sopra, non noi miseri esseri umani.

Neil è nel suo ufficio all'All England Club, in divisa da lavoro. Da qui coordina la squadra di giardinieri (17 a tempo pieno, più 12 stagionali che si aggiungono da aprile a ottobre durante le fasi di preparazione, manutenzione e infine rifacimento dei courts) che mandano avanti il torneo accudendo ogni campo come se fosse il cucciolo di una bestia rara e costosa. Questo lunedì sarebbe dovuto brulicare di gente, colpi, eccitazione, adrenalina. Non vola una mosca. «Strano vedere l'All England Club così quieto in questo periodo dell'anno — riflette Stubley —. E dispiace non poter mostrare al mondo anche quest'anno l'incredibile lavoro che abbiamo fatto per prepararci al torneo. Ma torneremo l'anno prossimo più belli, forti e smaglianti. Pronti per ospitare nuovi match e altre leggende».

La pandemia in Inghilterra è arrivata proprio mentre cominciava la preparazione della stagione sull'erba: «A metà maggio, all'incirca a 6 settimane dai Championships, il circolo apre i campi ai suoi soci — ci racconta Neil —. È così che ci rendiamo conto del rimbalzo e della velocità della palla».
Quando il primo aprile (e non era uno scherzo!) Wimbledon è stato cancellato per la prima volta dopo la guerra, il lavoro dell'head groundsmen e dei suoi uomini non si fermato: «Ci siamo riorganizzati in due gruppi per garantire il distanziamento sociale e abbiamo ridotto la fertilizzazione. A fine maggio abbiamo aperto pochi campi. Da allora abbiamo avuto un tempo magnifico: avremmo avuto un grande torneo su un'erba perfetta…».
Oggi, mentre parliamo, i ricchi soci di sangue blu dell'All England Club giocano su 6/8 courts, in una quiete innaturale, approfittando di un manto rasato a 8 millimetri di altezza (diventeranno 2-3 a ottobre, quando ci si prepara per il lungo inverno e tutti i campi verranno rifatti in vista del 2021 proprio come se il torneo di quest'anno si fosse regolarmente disputato).

Quali suole di piedoni non ti mancheranno, quest'anno, Neil, gli chiediamo. «Beh gli uomini sono più alti e pesanti e tirano più forte. Giocano tre set su cinque e rovinano i campi molto più di quanto non facciano le donne. Ma non è tanto una questione di singolo tennista, quanto di volume di gioco. Durante il torneo i campi, tra allenamenti (cerchiamo di far ruotare i giocatori più pesanti di modo che non insistano sempre sugli stessi courts) e match, sopportano 9-12 ore di tennis. Qualsiasi altra erba soccomberebbe a un carico del genere. Non la nostra: la nostra erba cresce verticalmente, non orizzontalmente come altre, tende ad assorbire l'energia della palla ma senza alterarne traiettoria e rimbalzo».
Neil Stubley parla dei suoi courts con orgoglio smisurato, ammette che come la poa anua (un'erba infestante che definisce «la mia kriptonite») non odia niente e nessuno, confessa una simpatia per i tennisti di casa («Dopo aver sperato per anni che ce la facesse Tim Henman, il primo titolo di Andy Murray nel 2013 mi ha commosso: ero sul campo centrale ma del match point non rammento nulla perché io dei giocatori guardo solo i piedi e come calpestano l'erba!»), ricorda ancora la soddisfazione di aver ospitato Wimbledon 2012 e il torneo di tennis dei Giochi di Londra a strettissimo giro («Non facile né scontato: quel doppio impegno richiese anni di studio e preparazione») e sull'ultima domanda — qual è il tuo campo preferito e perché — crolla: «Impossibile scegliere, è come se avessi 38 figli: li amo tutti allo stesso modo». See you l'anno prossimo, tu e i tuoi trentotto pargoli, caro Neil.

29 giugno 2020 (modifica il 29 giugno 2020 | 18:13)

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Source: Corriere.it

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