четверг, 5 марта 2020 г.

Dalla terribile «spagnola» alla poliomelite del ‘52, le grandi epidemie del passato (che facevano meno paura)

Dalla «spagnola» alla poliomelite del ‘52, le altre epidemie (che ci facevano meno paura)

Dalla «spagnola» alla poliomelite del ‘52, le altre epidemie (che ci facevano meno paura)

Il 24 ottobre 1918 a pagina due del Corriere della Sera, accanto a una nota sulla ritirata dall'Albania delle retroguardie austriache «premute dalla cavalleria italiana» («Firmato: Diaz») compariva un trafiletto: «Circolare di Orlando contro le voci false ed esagerate sull'epidemia». Il siciliano Vittorio Emanuele Orlando era presidente del Consiglio e, insieme, ministro dell'Interno. Nei mesi seguenti avrebbe guidato la disastrosa missione italiana alla conferenza di Versailles ma allora, alle ultime settimane della Grande guerra, trovò il tempo per un comunicato sulla situazione sanitaria nel Paese. Era «inteso a opporsi alle voci — si legge nella cronaca — intorno a una più larga e intensa manifestazione della forma morbosa epidemica apparsa da noi fin dalla primavera decorsa».

Dalla «spagnola» alla poliomelite del '52, le altre epidemie (che ci facevano meno paura)

Ecco la nota del premier: «Si parlò di una malattia terribile, misteriosa, ignota nella sua causa e invincibile nei suoi effetti, e di fronte a qualche caso eccezionale di complicanze polmonari particolarmente gravi (…) si è voluto poi identificare l'affezione, così come in altri Paesi provati prima del nostro si era fatto, con la peste cinese (…). Ora si tratta di voci arbitrarie, assurde, frutto di incompetenza e di fantastica sovreccitazione — prosegue Orlando -. Le osservazioni cliniche come le indagini di laboratorio hanno escluso ed escludono, in modo assolutamente indubbio, l'origine esotica della malattia e la attribuiscono a quella forma morbosa che è conosciuta sotto il nome di "influenza"».

Dalla «spagnola» alla poliomelite del '52, le altre epidemie (che ci facevano meno paura)

La (terribile) spagnola:

Era la spagnola. Studi di decenni successivi avrebbero stabilito che fu una forma virale con complicanze batteriche, notata già nell'estate del 1918 nel Mid-West americano (passava dalle persone ai suini), ma già fin dalla primavera a Canton (oggi Guangzhou), in Manciuria e a Shanghai. Colpì mezzo miliardo di persone, un terzo dell'umanità.
In Europa la si chiamò «spagnola» perché si credeva che l'origine fosse quella. Si stima che avesse un tasso di riproduzione simile a quello del coronavirus — ogni contagiato la trasmetteva a altri due — ma in assenza di antibiotici e ossigenoterapia, in un'Europa prostrata dalla guerra, fu il più grande olocausto nella storia medica: si stima abbia portato alla morte fra venti e cento milioni di persone.

Le misure per contenere il contagio

L'Italia corse ai ripari come poteva. Sul Corriere di domenica 29 settembre '18, sempre a pagina due, compariva «il programma pratico del Governo per combattere la malattia attuale». Si leggeva: «È chiaro che un programma di misure d'igiene pubblica non può essere fissato e svolto in via razionale» se non risponde a due domande: «Qual è la natura della malattia infettiva che si è diffusa in Italia? Qual è la gravità reale che una tale epidemia presenta?». Si nota che l'agente patogeno si trasmette «mediante le particelle di muco che vengono emesse coll'aria di espirazione durante il parlare e il tossire».
Di qui un consiglio che suona familiare nell'Italia al tempo del Covid-19: «Si raccomanda di cautelarsi contro il pericolo di inquinarsi: converrà ch'essi (medici e inferimieri, ndr) portino a quest'uopo una maschera di garza o qualche altro consimile mezzo di protezione». Plus ça change. Quanto poi alla popolazione in genere, anche qui le tecniche non sono molto cambiate. Oggi si consiglia di non baciarsi, non dare la mano, non andare al cinema e tenersi a un metro gli uni dagli altri. Allora agli italiani il governo chiedeva di «ridurre al minimum gli affollamenti in genere e i contatti dei sani coi malati (ad esempio nelle visite agli ospedali)». Si era notato infatti un interessante fenomeno: «In un accampamento, dove l'epidemia infieriva, bastò ampliare il terreno occupato dalle truppe, e in questo modo diradare l'affollamento dei soldati, per veder subito la malattia scomparire del tutto».

L'Asiatica del 1957

Ma, appunto, correva il 1918. I padri, nonni e bisnonni degli italiani di oggi affondavano in trincee piene di fango e si stava consumando una catastrofe europea. Indimenticabile.
Che dire invece del 1957? Di quell'anno oggi si ricordano il lancio dello Sputnik sovietico nello spazio e magari la nascita di Carosello. Ma ci fu anche una pandemia che uccise più di un milione di persone, dopo averne contagiate fra 250 milioni e un miliardo nel mondo. L'Asiatica. Per confronto, Covid-19 per ora è stato diagnosticato in 94 mila persone e ne ha uccise 3.220 (dati aggiornati al 4 marzo): l'Asiatica del '57 fu oltre trecento volte più letale, eppure pochi oggi sembrano serbarne il ricordo.
L'articolo del «New York Times»L'articolo del «New York Times»

Il 17 aprile di quell'anno sul New York Times compare giusto una notiziola dall'allora colonia britannica di Hong Kong: «La stampa popolare riferisce che circa 250 mila residenti hanno ricevuto delle cure. La popolazione della colonia è di circa 2,5 milioni. L'afflusso di 700 mila rifugiati dalla Cina comunista ha creato un pericolo costante di sovraffollamento. Migliaia di malati aspettano cure in lunghe file, molte donne portano sulle spalle bambini dallo sguardo vitreo».

L'eco dell'Asiatica sulla stampa

Anche il Corriere del 20 settembre '57 parla della pandemia, in una pagina interna: «Ventidue morti in Inghilterra per l'influenza asiatica» e 250 mila persone colpite «in Germania occidentale» con «oltre seicento scuole chiuse nella sola Bassa Sassonia». Allora il Corriere dell'Informazione la chiamò «la nuova spagnola», verso metà dicembre in verità «rincrudita a Roma». Ma appunto l'epidemia non conquistò quasi mai le prime pagine e la sola volta che quell'anno il Corriere dell'Informazione dedicò un titolo grande in prima a un virus, fu quando il Milan di Schiaffino — neo-laureato campione d'Italia a metà giugno — dovette andare «in quarantena» e rinviare varie partite. Ma quello era «morbo giallo», cioè «epatite ittigerina» presa da tutta la squadra nella vasca da bagno di uno spogliatoio.

L'influenza di Hong Kong

Del resto persino la cosiddetta e successiva «influenza di Hong Kong» del 1968-'69 (più di 250 milioni di contagiati, quasi un milione di morti nel mondo) non conquistò mai grandi spazi sui media. Era già andata così anche per la pandemia di poliomelite del 1952, che solo negli Stati Uniti infettò 58 mila persone e ne uccise tremiladuecento. Il 10 agosto il Corriere registra in un pezzetto di due frasi a proposito di «duemila casi di poliomelite registrati quest'estate in Germania». E a settembre scrive la collaboratrice Hedi A. Giusti da New York, senza enfasi, che le famiglie colpite dalla drammatica paralisi dei bambini hanno «una tranquilla fiducia» grazie alla «meravigliosa certezza del popolo americano che nessuna precauzione sarà trascurata».

Um mondo meno fragile?

Forse erano tempi in cui il rapporto con l'infermità e la morte era diverso. Non regnava la pretesa di oggi che il corpo fosse indistruttibile, o giovanile almeno per sei decenni. Il deperimento umano e la fine non erano un tabù, uno sconcio da tenere privato e quasi segreto. Fu per questo forse che non facevano granché notizia decenni fa — e restano poco impresse nella memoria oggi – pandemie molte volte più spaventose del coronavirus. O forse c'era anche dell'altro, che oggi conta e allora non contava. Lasciamo stare il 1918. Ma quello degli anni '50 o degli anni '60 un modo meno interconnesso, meno interdipendente, meno veloce, sistemato in un equilibrio meno precario, meno scricchiolante ghiaccio sottile di mercati finanziari gonfiati dal debito dei fondi d'investimento. Era dunque, almeno in questo, un mondo meno fragile e più capace di fare i conti con l'incertezza e cioè con il sale della vita.

Ma di certo un domani, fra mezzo secolo, qualcuno leggerà negli archivi dei giornali del Covid-19. E scoprirà, come in tutti i casi precedenti, che alla fine il vaccino fu trovato.

Leggi articoli in italiano. Corriere.it

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