суббота, 29 февраля 2020 г.

Gino Girolimoni, il «mostro di Roma» accusato ingiustamente di essere un serial killer di bambine

È una Roma pigra e sonnolenta quella del tardo pomeriggio del 31 marzo 1924, una Roma che ancora non ha guardato in faccia il vero volto del fascismo ma che lentamente si sta preparando a esserne travolta. La primavera è arrivata presto e la temperatura alle sei di sera è mite, tanto che i ragazzi nonostante l'ora giocano ancora nei giardini di piazza Cavour. Tra loro ci sono Emma Giacomini, 4 anni e mezzo, e il suo fratellino. Ad accompagnarli al parco la tata che, a cadenza regolare, li cerca con lo sguardo mentre chiacchiera con le altre bambinaie. Finché, all'improvviso, non li vede più. La donna li chiama per nome. Nessuno risponde. Li cerca allora tra gli alberi e le siepi, mentre tra sé e sé mormora una preghiera. Ma dei due bambini non c'è traccia. Due ore più tardi il sole è tramontato. Un bambino piange davanti al cinema di piazza Cola di Rienzo. Non sa spiegare perché è lì: sa dire solo di voler tornare ai giardinetti dove c'è la sorella. Poco lontano, una donna che abita alle falde di Monte Mario sente delle urla nel buio che avvolge gli orti vicini a piazzale Clodio.

L'errore giudiziario che distrusse la vita di Girolimoni è diventato un film nel 1972, per la regia di Damiano Damiani. In «Girolimoni, il mostro di Roma», Nino Manfredi veste i panni dell'innocente accusato senza prove

Strizza gli occhi e finalmente scorge una bambina nuda che stringe in mano le sue mutandine e attorno al collo ha un fazzoletto legato stretto. Troppo stretto. È Emma Giacomini. All'ospedale dove la portano immediatamente dicono che ha delle escoriazioni su tutto il corpo, compresi i genitali. Alcuni testimoni in caserma giurano di aver visto un uomo di circa 45-50 anni, alto 1 metro e 70, con un cappotto scuro e un cappello nero, portare la bambina dietro a una siepe. Le urla della piccola devono averlo spaventato. Per i genitori la notizia è un sollievo: non c'è stato stupro.

La tragica fine di Bianca

Sessantaquattro giorni dopo. Via del Gonfalone, a pochi passi dalle Carceri Nuove. Bianca Carlieri, tre anni e otto mesi, gioca davanti a casa. In famiglia la chiamano la "Biocchetta" per via della sua mansuetudine e di una menomazione alla mano che la rende più timida degli altri. Dice di sì a tutti, Bianca, a tutti ubbidisce. Anche all'uomo elegante col volto spigoloso, i baffi chiari e il soprabito grigio che l'avvicina e le chiede di seguirlo. Le ha detto di essere suo zio e che vuole comprarle delle caramelle, racconterà in seguito una delle amiche di Bianca che ha assistito alla scena. I due se ne vanno, mano nella mano. Quando la lavandaia Alessandra Negri, mamma di Bianca, si accorge della scomparsa, prima chiama la figlia, poi grida, infine corre disperata per il quartiere. Quando arriva in lacrime al commissariato del rione Ponte nessuno l'ascolta. La sparizione della figlia di una lavandaia è poca cosa rispetto alla caccia ad antifascisti e comunisti che impegna da mesi le forze dell'ordine. La mattina dopo, il 5 giugno, una donna cammina lungo la linea ferroviaria che da Roma porta a Ostia. Siamo oltre alla Basilica di San Paolo, Roma Sud, zona di campi dove si raccoglie la cicoria. Maria Durante è lì proprio per quello quando vede un gruppo di maiali attorno a dei giornali. Si avvicina, scosta un foglio e comincia a gridare. Grida con tutta la forza che ha in corpo. Sembra impazzita.

Nino Manfredi in una scena del film «Gino Girolimoni, il mostro di Roma»

Nino Manfredi in una scena del film «Gino Girolimoni, il mostro di Roma»

Nino Manfredi in una scena del film «Gino Girolimoni, il mostro di Roma»

Due suicidi e il caso Matteotti

La gente accorre. Accorre anche il marito di Maria che pensa sia successo qualcosa alla loro figlia più piccola. Ma sull'erba, sotto i giornali, c'è il corpo straziato di Bianca. Poco lontano il suo vestitino e un fazzoletto con le iniziali R.L. Il rapimento di Emma Giacomini non aveva trovato spazio sui giornali. La stampa aveva altro a cui pensare: la denuncia del socialista Giacomo Matteotti sui brogli che i fascisti hanno compiuto durante le elezioni svoltesi qualche mese prima. L'assassinio di Bianca però non può essere ignorato. Le edizioni pomeridiane dei giornali descrivono con dettagli macabri il ritrovamento del suo corpicino. E il risultato dell'autopsia: stuprata e strangolata. Al funerale una folla segue il feretro. La gente si accalca, il corteo sbanda e qualcuno grida «morte all'infame!». La polizia è sotto pressione. Il nuovo regime non può tollerare che si dica che è incapace di assicurare alla giustizia un assassino di bambine. Il primo innocente a essere accusato è un vagabondo. Ma il direttore del dormitorio dove passa le notti riesce a scagionarlo. Intanto, l'isteria dilaga. Due persone si tolgono la vita perché convinte che verranno accusate da vicini di casa rancorosi. Poi, cala il silenzio. La stampa ha altro da raccontare: il rapimento (e poi l'omicidio) di Matteotti, al quale Mussolini l'ha giurata dalle pagine delPopolo d'Italia.

Cinque mesi dopo, sparisce Rosina

Ma il mostro è acquattato nell'ombra e il 24 novembre 1924 torna a colpire. Rosina Pelli ha solo due anni e mezzo quando scompare dal portico di San Pietro. La mattina seguente un fornaio scopre il suo corpo nei campi della Balduina. Anche Rosina ha «vastissime lacerazioni genitali», come recita l'esame autoptico. Ai funerali partecipano 100 mila persone che vogliono vendetta. Inutilmente. Sei mesi dopo il mostro rapisce la seienne Elsa Berni mentre sta andando a prendere l'acqua a una fontanella vicino a casa, nel rione Borgo. Con lei c'è un'altra bambina che racconta di un uomo elegante che ha costretto Elsa a seguirlo. All'alba del giorno dopo, il 31 maggio 1925, un netturbino scopre il suo corpo sulle sponde del Tevere, a pochi passi da ponte Mazzini. I giornali nascondono la notizia nelle pagine interne perché le direttive del Ministero dell'Interno sono chiare: niente enfasi, niente fotografie. La polizia non riesce a trovare il mostro e la stessa immagine di Mussolini ne è danneggiata.

Il commissario Giuseppe Dosi indagò sul mostro e scagionò Girolimoni, ma venne ostacolato dai superiori e chiuso in manicomio fino al 1940

Il 26 agosto scompare dalla sua cameretta Celeste Tagliaferro, di un anno e mezzo. Il mostro la porta nei pressi di via Tuscolana dove abusa di lei e tenta di strangolarla con il pannolino. Ma l'arrivo provvidenziale di un passante le salva la vita. Il 12 febbraio 1926 tocca a Elvira Coletti, di sei anni. La piccola viene trascinata su una sponda del Tevere, dove viene picchiata e stuprata. Prima che il mostro riesca a ucciderla la bambina scappa. Ora l'assassino si sente accerchiato, in troppi hanno visto il suo volto e per quasi un anno si fa di nebbia. Ma è una tregua destinata a finire il 13 marzo 1927, quando su un prato dell'Aventino viene rinvenuto il corpo insanguinato di Armanda Leonardi. La bambina, 6 anni, era sparita dal rione Ponte la sera prima: anche lei è stata soffocata. Di nuovo la città eterna è scossa da un'ondata di orrore e indignazione. La polizia deve dare una risposta forte. Il 9 maggio è l'agenzia di stampa Stefani ad annunciare che il mostro è stato catturato. L'incubo è finito.

Giuseppe Dosi (1891-1981), il commissario che scagionò Gino Girolimoni

Giuseppe Dosi (1891-1981), il commissario che scagionò Gino Girolimoni

Giuseppe Dosi (1891-1981), il commissario che scagionò Gino Girolimoni

Il capro espiatorio diventa un sinonimo

Il capro espiatorio si chiama Gino Girolimoni, ha 38 anni, fa il fotografo e vive in una stanza in via Boezio. In Questura cercano di farlo confessare nonostante sia evidente che non corrisponde all'identikit dell'assassino. Gino nega ma finisce comunque in isolamento a Regina Coeli. Solo l'8 marzo 1928 viene prosciolto «per non aver commesso il fatto». Torna in libertà, ma la sua vita è rovinata e il suo cognome a Roma diventa sinonimo di pedofilo. La polizia ha però un abile commissario che segue un'altra pista. Giuseppe Dosi, che finita la guerra sarà tra i fondatori dell'Interpol, durante la detenzione di Girolimoni ha ottenuto di riaprire il caso perché analizzando le testimonianze si è reso conto che la descrizione del mostro gli ricorda quella di Ralph Lyonel Brydges, pastore anglicano alla Holy Trinity Church di via Romagna e che a Capri è stato fermato per aver adescato una bambina. Il 13 aprile 1928 il commissario incontra il religioso e gli comunica di essere formalmente indagato per gli omicidi. Durante una perquisizione nella sua stanza emergono numerosi indizi: un taccuino con annotati i luoghi in cui sono avvenute le sparizioni delle bimbe e dei fazzoletti di lino bianco, simili a quelli usati negli strangolamenti. Ma c'è di più: Dosi rinviene ritagli che parlano di omicidi di bambine avvenuti a Ginevra, in Germania e in Sud Africa, proprio quando il pastore si trova in quei Paesi.

La perizia psichiatrica sul pastore anglicano

Il reverendo è sottoposto a una perizia psichiatrica che ne stabilisce la compatibilità con gli atti del mostro. Però non parla bene italiano ed è più anziano dell'uomo descritto dai testimoni. Mussolini decide dunque di liberarlo, anche a causa delle pressioni della chiesa anglicana. Dosi, diventato improvvisamente scomodo, è rinchiuso in manicomio. Il 23 ottobre 1929 Brydges viene prosciolto con formula piena dalla Corte d'Appello, ma il reverendo, che morirà nel 1946, ha già lasciato da tempo l'Italia, per non farvi mai più ritorno. Il mostro di Roma è ancora ufficialmente senza nome.

La locandina del film su Girolimoni

28 febbraio 2020 (modifica il 29 febbraio 2020 | 08:54)

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