понедельник, 29 июня 2020 г.

Renato Pozzetto: «E l’ostetrica gridò: evviva, è nata la figlia di Cochi e Renato»

Renato Pozzetto, a 80 anni, la vital'è ancora bèla?
«Ho qualche acciacco, ma sì. Ho passato il lockdown a Milano: coi due figli e i cinque nipoti abitiamo nello stesso palazzo. Ora, sono "sfollato" a Laveno, nella mia casa sul lago Maggiore. Sto qua, seguo la Locanda Pozzetto e il 14 luglio festeggeremo tutti assieme il compleanno. Qui ho i primi ricordi, papà ci aveva portato a Gemonio durante la guerra, con la valigia di cartone».

E quali sono i primi ricordi?
«C'era così poco da fare e io e Cochi, sfollato da Milano pure lui, ci annoiavamo così tanto, che cercavamo di essere simpatici per renderci meno drammatica l'esistenza. Il nostro umorismo e il duo Cochi e Renato sono nati così».

Enrico Beruschi, che era alle medie con lei e alle superiori con Cochi, racconta che, a scuola, facevate scherzi pestiferi.
«Ma no. Una volta, tolsi una sedia a una suora. Mio padre me ne ha dette e me ne ha date».

Beruschi sostiene che lei riempì d'acqua e pesci rossi le bocce dei lampadari.
«Be'… Lo spirito era quello».

Il cabaret come arriva?
«A Milano, per mancanza di fondi, andavamo all'Osteria dell'Oca d'oro di Porta Romana: c'erano molti artisti, anche Piero Manzoni, Lucio Fontana, noi cantavamo canzoni popolari e approfittavamo della bottiglia di vino che girava. Poi lì vicino, aprì il Cab 64, dove abbiamo incontrato: Giorgio Gaber che ci ha insegnato a suonare la chitarra, più a Cochi, che era bravino; Enzo Jannacci, con cui abbiamo scritto le prime canzoni, tipo "la gallina l'è intelligente, si capisce da come guarda la gente", lui componeva la musica e noi si andava avanti con le parole; Dario Fo che veniva a darci il suo parere; Bruno Lauzi che pure si esibiva e tutti quelli che diventeranno i nostri amici».

L'ingresso al celebre Derby?
«Ci offrirono di aprire le serate. Eravamo Jannacci, Felice Andreasi, Lino Toffolo, Bruno Lauzi e io e Cochi e ci battezzammo Gruppo Motore, per l'energia che dovevamo sprigionare».

La sua prima serata vera?
«Non me la ricordo, perché nei cabaret si viveva e io ero in giro per osterie a fare cose dai 16 anni. Potevo fare l'alba perché, nel dopoguerra, la scuola faceva i turni e io andavo a geometra di pomeriggio».

I suoi che dicevano che stava in giro di notte?
«Sapevano che passavo la vita con Cochi, poi si sono trovati in casa Andreasi e Jannacci, vedevano che non erano permale. Eppure, mio padre non era mai uscito la sera, mai andato al bar, andava solo a messa la domenica. Una mattina, quando da Gemonio faceva il pendolare con Milano, ho sentito che mi dava un bacio nel sonno. Mi sono stupito, non mi aveva mai baciato. Mi è piaciuto moltissimo e ho voluto convincermi che lo facesse tutte le mattine».

E lei i suoi figli li baciava?
«Sì, mamma mia».

E i nipoti?
«Mi filano poco. Sono educati, ma indipendenti. Li vedo sempre, ma hanno i loro giochi, l'Ipad».

Ma sanno chi è e cosa ha fatto?
«Non ne parlano mai, non mi chiedono niente. Sono talmente lontano dalla moda oggi, che non sono un esempio invidiabile ai loro occhi».

Eppure, lei fu modernissimo. Con Cochi, avete inventato il nonsense e c'è chi riconosce il filo di un nuovo linguaggio che va da Piero a Manzoni a voi.
«Nessuno pensava di diventare un artista, tutto nasceva ridendo in osteria. Quando Piero fece la Merda d'artista, la madre era disperata. Io c'ero quando faceva la Linea Infinita: si era fatto dare un chilometro di bobina di carta dal Corriere della sera e aveva tracciato questo segno lungo lungo».

Eravate così moderni che, all'indomani del successo di Canzonissima, l'Italia si divise fra chi vi capiva e chi no.
«Una volta, dopo uno spettacolo, viene uno e dice: ho una fabbrica con mille operai e non mi sono divertito, mi sento in difficoltà perché si sono divertiti tutti, eppure non sono scemo. Eravamo nuovi, imprevedibili, come appena usciti da scuola. Parlavamo ai giovani che dicevano cose stonate al Bar Gattullo».

Uno psicologo dell'epoca scrisse che vi guardavano 22 milioni di spettatori perché eravate l'antidoto ai tempi bui del terrorismo.
«Be', c'era stato il '68, ma non è che ci spaccassimo la testa per raccontare chissà che».

Jacopo Fo racconta che il vostro «bene, bravo, 7+» parlava ai giovani non ai prof, e che era un modo per dire «chi mi capisce è con me». Quasi un grammelot in scala.
«Era come una stonatura. Con Dario Fo passavo tutte le ferie a Cesenatico, un promotore del posto invitava, noi, Lauzi, Andreasi… Tutti ospiti: soldi non ce n'erano e ci si trovava lì».

C'è anche chi ha visto in lei tutta una poetica della campagna contro la città.
«Mah… forse quando ho fatto in tv Il poeta e il contadino o al cinema Il ragazzo di campagna. Di recente, volevo fare un film su un contadino che va a vivere sul tetto con prato del Bosco Verticale a Milano, riesce a portare su un vitello, ed essendo un palazzo solo di miliardari, calciatori e russi, vende bottiglie di latte che costano come champagne. L'architetto Stefano Boeri ha pure cercato di convincere qualche produttore. Per ora, nulla».

Il suo «taac» come nasce?
«Da Gattullo, un cliente parlava e ci puntava il dito in gola, in faccia. Ne ho fatto un taac e l'ho usato diversamente, per dire: fatto!».

Qual è la battuta che più ricordano i suoi fan?
«Tutti vogliono che ripeta: Eh la madonna!!».

Ha fatto 140 film, com'è cominciata?
«A me e Cochi avevano proposto le solite cose: il prete e il sindaco, i due carabinieri… Poi, mi portano Amare Ofelia, Jannacci disse che era una boiata, a me sembrò carino, ma dovevo farlo da solo, chiesi il permesso a Cochi. Andò benissimo, vinsi il Nastro d'Argento come esordiente».

Si narra che mentre lo girava sembrasse una boiata anche a lei.
«Mi preoccupava il doppiaggio, volli far vedere il montato a Cochi. In effetti, ho vissuto sott'acqua finché non ho saputo gli incassi. Alla fine, fu un film onesto e non volgare».

Era vietato ai minori di 14 anni e la si vedeva per un attimo nudo.
«Era roba che ora vedi la domenica mattina dopo la messa del papa. Io e Cochi non siamo mai stati volgari».

Eravate di scuola milanese, quella romana era più barzellette e sesso.
«A me spiace solo che al cinema hanno vinto loro e di non essere riuscito a portare il nostro cabaret sul grande schermo».

Davvero dopo quel film mandò mille lire all'Angela del Derby poi incorniciata «in pagamento di tutte le sue bevute»?
«Ma noo. Avevo già pagato tutto. Nel libro sul Derby, ognuno raccontava la propria bugia. A me chiesero tre righe e io mandai tre righe su un pezzo di carta».

Nel senso di tre linee alla Piero Manzoni?
«Esatto».

Le risse al Derby di cui si narra erano vere?
«Mai viste».

Tipo: il suo amico «Pinto delle due pistole» spara due colpi per errore e arrivano venti volanti della polizia.
«Non mi ricordo proprio. Pinto?».

Fra il '74 e il '79, lei girò 23 film.
«Tanti avrei potuto non farli, ma andavano bene, non avevo mai visto una lira, perché rinunciare?».

Il film più bello?
«Oh Serafina, di Alberto Lattuada e Sono fotogenico, di Dino Risi».

Il più brutto?
«Brutto no, ma quelli alla fine con Paolo Villaggio mi sono divertito a girarli, però erano troppo lontani da me. Neri Parenti mi ha pure travestito da bimbo, col pannolone, mi sono un po' vergognato».

Il cinema l'ha separata da Cochi.
«Le storie di ragazzi di quell'età sono così, ma non abbiamo mai litigato. Eravamo insieme a Cesenatico un mese fa. Di recente, abbiamo fatto di nuovo teatro assieme. Se, come pare, darò una mano al Lirico di Milano, magari ci riuniamo ancora. Per anni, non ci distinguevano uno dall'altro. Quando nacque mia figlia Francesca, l'infermiera uscì dalla sala parto gridando: è nata la figlia di Cochi e Renato».

Come ha conosciuto sua moglie?
«Sul lago, stessa compagnia. Era molto spiritosa. Avevamo 16 anni. È stato un grande amore, durato fino a 10 anni fa, quando è mancata. Lei non era affascinata dal cinema e questo mi ha aiutato. Non è mai voluta venire a Roma, mi ero organizzato con una casa sui Fori Imperiali, ma ha chiesto di restare a Milano vicino alla madre».

Non era gelosa delle attrici bellissime con cui lavorava: Edwige Fenech, Eleonora Giorgi, Ornella Muti?
«Se avesse avuto fondati sospetti sarebbe venuta a Roma. E non ero Mastroianni. Quando Marcello veniva a Laveno a trovarmi, uscivamo col motoscafo Riva e le donne lo acclamavano dalla strada».

Momenti di crisi ne ha avuti?
«Quando è mancata mia moglie. Nel lavoro no: capita che stai fermo, ma non è come una malattia che ti arriva fra capo e collo».

Cochi sostiene di non aver mai avuto un incubo e che fa sogni che lo fanno ridere anche nel sonno. Lei che sogna?
«Anch'io mi diverto di giorno e di notte. Però vorrei sognare mia moglie, non è mai successo».

Le piace essere intervistato?
«A volte, vado nei teatri, mi fanno parlare e, quando mandano qualche spezzone di film, la gente ride in modo sfrenato e io ci resto male come se avessi un collega concorrente più bravo di me».

28 giugno 2020 (modifica il 28 giugno 2020 | 22:27)

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Source: Corriere.it

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